LA STORIA DI FOLLONICA E LA RIEVOCAZIONE DI LEOPOLDO II

LA RIEVOCAZIONE STORICA


La citta’ di Follonica ha tra i suoi monumenti l’importante sito della fabbrica della ex-Ilva e questa cerimonia si integra perfettamente con il recupero del patrimonio storico che l’ amministrazione comunale sta portando avanti negli ultimi anni.
Questa manifestazione ci mostra uno spaccato di vita della Follonica del passato.
L'importante, come qualsiasi manifestazione culturale, e' che sia ben fatta e che venga alla luce tutta la verita’ storica, in modo che nessuno, ignorantemente, possa riconoscersi in un passato che non ci appartiene.
La nostra storia e’ con chi, contro il Granduca, ha dato la vita perche’ avessimo un tricolore e una costituzione repubblicana in cui e’ finalmente scritto che tutti gli uomini sono uguali.




IL PERIODO PRECEDENTE ALLA CERIMONIA


Dopo la caduta di Napoleone e la Restaurazione avvenuta con il congresso di Vienna, alcuni Stati dell’epoca furono cancellati per sempre dalle carte geografiche e tra questi il Principato di Piombino,
Le terre dell’Elba che erano sotto il dominio del Principato furono annesse dal Granducato che comincio’ subito a modernizzare le strutture esistenti per poter migliorare i rendimenti del ferro estratto a Rio d’Elba.
Nel 1831 fu scelta Follonica come centro della Reale Amministrazione delle Miniere di Rio e delle Fonderie del Ferro di Follonica (IRAMFF).
Questo porto’ a fare di Follonica il secondo polo siderurgico del Granducato di Toscana e da questo momento venne dato impulso alla costruzione dei nuovi stabilimenti industriali cosi’ come oggi li vediamo.
In particolare dal 1834 in poi si comincia a realizzare il progetto di H.A. Brasseur del complesso della fonderia, che al momento della celebrazione era realizzato solo in piccola parte.


LA CERIMONIA


La rappresentazione storica cerca di riprodurre fedelmente la cerimonia della consacrazione della chiesa di San Leopoldo, avvenuta il 10 maggio del 1838 alla presenza del Re Leopoldo II di Lorena in persona.


CHI ERA LEOPOLDO II


Era nato a Firenze nel 1797, ma passo’ tutta l’infanzia in Austria poiche’ la Toscana era stata invasa da Napoleone.
Divento’ Principe di Toscana alla morte del fratello maggiore Francesco Leopoldo quando questa era ancora saldamente sotto il dominio francese.
Rientro’ a Firenze nel 1814 dopo l’abdicazione di Napoleone e si fece subito ben volere non facendo epurazioni verso chi aveva collaborato con i francesi.
Fu soprannominato “canapone” dai grossetani per il colore biondo sbiadito dei suoi capelli.
Alla morte del padre Ferdinando III nel 1824 divenne Re e subito si dimostro’ abile nel continuare le grandi opere di rinnovamento che avevano fatto tanto amare suo nonno Pietro Leopoldo, in particolare la prosecuzione della bonifica della maremma e l’allargamento del porto di Livorno, diventato ormai uno dei piu’ grandi porti del mediterraneo.
Lui aveva in mente grandi cambiamenti e voleva trasformare la Maremma nel granaio del Regno.
Leopoldo II intensificò il frazionamento dei latifondi in Maremma, dove, da secoli, si praticava la coltivazione cerealicola estensiva in grandi campi non recintati, dando impulso per la loro trasformazione in poderi piu’ piccoli.
Questo passaggio di terreni da una proprietà assenteista ad un nuovo ceto borghese di imprenditori agrari migliorò notevolmente la produzione di grano.
Per fare questo dovette pero’ andare contro ai nobili e soprattutto alla Chiesa, che con le donazioni avvenute nel corso del tempo, aveva formato dei latifondi immensi dove per lo piu’ venivano lasciati i terreni improduttivi.
Emano’ delle leggi che liberalizzavano la vendita dei terreni dandoli a piccoli proprietari che avrebbero ricavato molto piu’ grano rispetto ai grandi latifondi.
Con le sue riforme non riusci’ completamente nel suo intento, pero’ la sua azione porto’ ad un radicale cambiamento del territorio toscano che oggi, con la sua varieta’ di piccole coltivazioni, ha quell’impronta tipica che lo rende cosi’ unico e meraviglioso.
Si preouccupo’ anche della bonifica del territorio facendosi consigliare da ingegneri esperti che fecero piantare enormi pinete che fermando i venti salmastri favorivano la coltivazione dei campi.




I GIORNI DELLA CERIMONIA


Nei giorni in cui avvenne la cerimonia, il Granduca aveva in mente un’ opera grandiosa, ovvero la realizzazione della ferrovia che fu poi chiamata Leopoldina e che, ancora oggi, costituisce il tratto che porta da Livorno a Firenze i viaggiatori.
Proprio in quei giorni infatti il Granduca doveva raccogliere i finanziamenti necessari e proprio per questo aveva mandato emissari a Londra e stava cercando un grande ingegnere che ne realizzasse il progetto.
Giungere da Firenze a Follonica era a quei tempi una impresa ardua poiche’ erano poche e malmesse le strade dell’epoca.
Piombino e la vicina Follonica erano collegate con Livorno dalla via dei Cavalleggeri che fu costruita solo pochi anni prima dalla sorella di Napoleone quale governatrice della Toscana sotto l’invasione francese dell’Italia e fu costruita per fronteggiare le barche dei contrabbandieri che toccavano le spiaggie di San Vincenzo e dintorni.
Nonostante tutto occorrevano giorni per percorrerla perche’ non esistevano ponti lungo i fiumi e quindi bisognava guadare i fiumi tramite barche.
Per non parlare del tratto verso l’interno con Firenze e infatti le merci usavano essere trasportate con chiatte tirate da terra lungo l’Arno.
Quindi i commerci erano veloci tra i porti della costa e con le isole (Bastia, Marciana, Capraia, Genova, Marsiglia) ma poi molto lenti verso le citta’ dell’interno (Firenze,Siena).
Quindi l’opera che si stava accingendo a realizzare avrebbe cambiato per sempre l’economia e il modo di vivere dell’intera Toscana.
Per far questo qualche tempo prima di questa cerimonia, ovvero nel marzo 1838 due banchieri, Pietro Senn di Livorno e Emanuele Fenzi di Firenze cominciarono a raccogliere le adesioni necessarie a sottoscrivere il capitale e ci riuscirono proprio nei giorni vicini alla cerimonia.
Trovato il capitale fu istituita una commissione presieduta dal conte Luigi Serristori e del progetto fu incaricato l’ingegnere inglese Robert Stephenson, figlio del pioniere delle ferrovie Gorge Stephenson.


 IL POPOLO E IL RE

 
Nonostante tutti questi bei propositi, non bisogna pero’ pensare che il Re fosse del tutto ben voluto dal popolo.
Infatti i nobili e la Chiesa tolleravano con riluttanza le sue aperture illuministe mentre il popolo minuto lo considerava uno straniero e questo si sommava alla ormai insopportabilita’ della emergente borghesia di fronte alla nobilta’.
In effetti straniero lo era davvero e una delle prime cose che fecero i Lorena appena subentrati ai Medici alla guida del Granducato, fu quella di mettere la bandiera austriaca sopra tutti gli stemmi precedenti a tal punto che ancora oggi ce la ritroviamo sullo stemma della Regione insieme al cavallo alato Pegaso.

 
IL MONDO DIVISO IN CASTE: NOBILTA’, CLERO E BORGHESIA


Per capire questo stato d’animo, in parte negativo, da parte del popolo bisogna dire che, dopo la caduta di Napoleone, la Restaurazione aveva rimesso un’altra volta le vecchie regole che volevano lo Stato diviso in tre caste ben distinte:
i nobili, che detenevano ogni sorta di potere, il clero a cui spettavano altrettanti diritti e il resto del popolo, considerato sporco e immorale.
Era impossibile riuscire a migliorare il proprio stato sociale, neanche con il danaro ottenuto con il lavoro, tipico attributo di cui andavano fieri i borghesi e che invece veniva ritenuto infamante dai nobili.
Neppure un borghese molto ricco poteva ambire a ricoprire incarichi pubblici di prestigio o ruoli ufficiali nell’esercito poiche’ erano posti riservati esclusivamente ai nobili.
Poteva soltanto, se molto ricco e potente, trovare un modo per poter essere ammesso al patriziato ed in questo modo fare un salto di classe sociale.
Perfino il modo di vestire era stabilito in base al ceto di appartenenza ed era proibito, per uno che non fosse nobile incipriarsi, portare le culotte (sorta di pantaloncini) o i merletti e perfino alcuni tipi di stoffe, segno unico e distintivo della classe nobile.
Alcuni libri erano proibiti da leggere perche’ diffondevano idee malsane e percio’ stampati alla macchia, ovvero di nascosto, spesso a Livorno scrivendo pero’ che erano stati stampati a Londra molti anni prima.
Una cosa che per noi al giorno d’oggi e’ inconcepibile era che un delitto veniva giudicato in base alla classe sociale e cioe’ accadeva che per il medesimo reato, per esempio un omicidio, un nobile veniva di solito punito con un periodo di tempo piu’ breve da scontare all’interno di un suo castello (oggi diremmo ai domiciliari), un prete veniva rinchiuso in un monastero e un poveraccio qualunque, fosse esso un artigiano, piuttosto che contadino o pescatore, veniva punito con la morte o rinchiuso in terribili prigioni all’ergastolo.
Era impossibile comprarsi la terra per poterla lavorare piuttosto che una casa dove vivere e percio’ il popolo era sempre in obbligo con la nobilta’ che non lavorava e viveva sullo sfruttamento di questi enormi privilegi.
La maggior parte delle persone erano braccianti agricoli, pescatori, costretti a pagare dazi e gabelle istituite spesso senza l’autorizzazione granducale, ma che l’amministrazione tollerava lo stesso.
Per cui oltre a non riuscire a sfamarsi si era continuamente costretti a pagare tangenti in favore di persone corrotte che occupavano posizioni di potere.
Era impossibile potersi difendere in quanto quasi tutto il popolo era analfabeta e quando andava bene qualcuno riusciva a fatica a fare la firma.
Pero’ nonostante ci fosse stata la restaurazione dei vecchi privilegi, ormai l’idea portata nel mondo dalla rivoluzione francese aveva diffuso in tutto il popolo il concetto di liberta’, di uguaglianza e di fratellanza.




IL CONCETTO DI STATO


A quei tempi non esisteva un concetto differente tra lo Stato e il Granduca e cioe’ lo Stato era il Granduca e lui lo gestiva come se fosse tutto di sua proprieta’ personale anche se sottoposto al vaglio di un parlamento.
I suoi abitanti erano chiamati sudditi di Sua Altezza Reale.

 
LA MASSONERIA E IL RISORGIMENTO


In Italia in quel periodo si stava formando il concetto di Nazione intesa come un popolo con propria lingua e cultura tipica, che occupa un territorio ben preciso, proprio come noi la intendiamo oggi, e i massoni che avevano tanto cari i concetti di lotta patriottica e di fratellanza massonica universale, volevano unire tutti i territori divisi e costituire una Repubblica, cercando di istigare il popolo contro tutti i sovrani.
Per far questo si usavano anche forme di lotta poco etiche.
Per esempio pochi anni prima, ovvero nel 1835 Livorno e la costa furono colpite da una violenta epidemia di colera.
Allora non si conosceva l’esistenza dei microrganismi colpevoli di molte malattie, e il popolo pensava che a diffondere la malattia fossero gli untori, ovvero persone che spargevano il male per le strade da una citta’ all’altra.
La carboneria mise in giro la voce che questi untori erano al servizio del Granduca e la maggior parte del popolo credette a queste maldicenze.


LA FOLLONICA DEL TEMPO


La Follonica di quei tempi poteva contare su un migliaio di abitanti di cui un quarto costituita da pescatori perlopiu’ stagionali provenienti dal regno di Napoli che vivevano in case di legno costruite in riva al mare.
Venivano poco dopo maggio e restavano fino a settembre e si dedicavano in gran parte alla pesca notturna delle acciughe.
Un altro quarto della popolazione follonichese era costituito da taglialegna e carbonai, anche loro stagionali, provenienti dal pistoiese.
Verso i primi di ottobre formavano le compagnie e partivano per venire in maremma lasciando a casa moglie e figli scalzi e ignudi con la speranza di guadagnare abbastanza soldi per poterli rivestire e sfamare.
Restavano circa 8 mesi a fare un lavoro durissimo, trattati come schiavi da impiegati di padroni che trattenevano per se la maggior parte del danaro.
Mangiavano soltanto un po’ di polenta e cacio e dormivano in capanne infestate dagli insetti spesso costruite in mezzo al bosco.
Nonostante evitassero il periodo peggiore, talvolta tornavano a casa malati di malaria.
L’altra meta’ restante della popolazione era impiegata nell’unica fabbrica cittadina.

FUNZIONE DELLA CHIESA


Per i poveretti di allora, vessati dai nobili, che a fatica riuscivano a sfamare i numerosi figli dei quali molti morivano ancora bambini, la nuova chiesa era non solo un luogo dove pregare, ma soprattutto un posto dove potersi raccomandare alla protezione dei Santi.
Infatti si riteneva che ogni Santo fosse lo specifico guaritore per quella determinata malattia.
Nei giorni della cerimonia, era in corso una epidemia di colera che solo a Livorno causo’ piu’ di 1200 morti di una popolazione di 50 mila persone.
Per il popolo non c’era la possibilita’ concreta di rivolgersi ad un medico quando ammalati, e le preghiere ai santi rappresentavano l’unico modo per sperare in una guarigione.
E’ per questo che talvolta si spostavano le reliquie da un luogo all’altro oppure si dividevano in modo che potessero agire in piu’ luoghi.




IL TRAMONTO DI “CANAPONE”


Se considerati i tempi possiamo dire che Leopoldo II fu un monarca esemplare (il nonno fu addirittura definito il Principe filosofo), questo non si puo’ dire che accadde quando il monarca, solo qualche anno dopo si trovo’ ad affrontare le rivolte del Risorgimento.
La sua politica volta all’unita’ italiana si arresto’ bruscamente quando si accorse che l’atteggiamento di Carlo Alberto stava diventando sempre piu’ accentratore.
Nel 1849 si intimori’ dalle agitazioni fatte dal partito democratico per il ritiro delle truppe dalla guerra contro l’Austria fuggi’ in fretta e furia da Firenze per rifugiarsi a Gaeta da dove ordino’ al suo generale De Laugier di prendere il controllo del territorio.
I soldati toscani comandati da De Lager rifiutarono di battersi contro una colonna di volontari mandata loro incontro da Livorno, e il generale dovette fuggire.
Nel frattempo, l’8 febbraio era giunto a Livorno Giuseppe Mazzini, accolto da una folla in tripudio: fu proprio lui ad annunciare la fuga del Granduca e della sua famiglia, con la folla che rispondeva con il tricolore innalzato, "viva la Repubblica!".
Il 15 febbraio fu proclamata la Repubblica Toscana.

RIVOLUZIONE MODERATA A FIRENZE

Il principale oppositore del nuovo governo fu il Municipio di Firenze che il 23 marzo cominciò una contro-rivoluzione, che vinse con l’appoggio dell’esercito e della guardia nazionale.
A Firenze si costitui’ un Governo filomonarchico ma la ultra-democratica Livorno continuò con un governo ‘popolare’, sostanzialmente contrario ai nuovi reggenti fiorentini.
Comunque, già il 12 aprile a Firenze la repubblica venne accantonata e fu inviata una delegazione per invitare Leopoldo II a ritornare.

 L’INFAMIA DEL GRANDUCA


Il Granduca non solo non ritorno’ ma addirittura si macchio’ della grandissima infamia di chiamare in suo aiuto gli Austriaci sapendo bene quello che sarebbe accaduto successivamente.
Invase la toscana il luogotenente-feldmaresciallo Costantino d'Aspre con il suo 2° corpo d’armata.
L’intera spedizione totalizzava 18.000 uomini, 100 cannoni, i genieri ed un po’ tutto il necessario ad una vera e propria campagna militare.
Il 5 maggio il d'Aspre conduceva il suo II Corpo d’armata alla occupazione di Lucca, il 6 di Pisa, tenendo la marcia verso Livorno, città ribelle al governo di Firenze e governato da una giunta repubblicana mazziniana.
Il conte Serristori, comandante dell’esercito granducale, non mostrò alcuna resistenza agli invasori e le truppe di stanza nelle province occupate si “affratellarono” addirittura con gli invasori tedeschi.
D'Aspre incontrò il giorno 7 una delegazione proveniente da Livorno alla quale non dette alcuna garanzia ma anzi disse che “il solo tiro fatto da una finestra sarebbe bastato perché quella casa fosse spianata dalle sue artiglierie”.

 
ASSEDIO E SACCHEGGIO DI LIVORNO


Nonostante le minacce, Livorno chiuse le porte e venne assalita il 10 maggio, alle 10,30 del mattino.
L’indomani mattina, 11 maggio, riprese il bombardamento, che permise al d'Aspre di aprire una breccia tra Porta San Marco e Barriera Fiorentina, da dove il sovrabbondante esercito invasore sommerse la città.
Ma da diversi edifici venne bersagliato da fucilate e la truppa prese a comportarsi come in una città presa d’assalto.
D'Aspre poteva, infatti, considerare ogni precauzione superflua e consentì il saccheggio e la rappresaglia: gli assalitori irruppero in tutti gli edifici da cui proveniva resistenza, uccidendo e saccheggiando, sino alla sera.
Seguirono almeno 317 fucilazioni (fonti contemporanee parlano di 800).
Il 17 maggio impose un riscatto straordinario di un 1,2 milioni di fiorini, da pagarsi entro 24 ore.
Costantino d'Aspre si era macchiato di un vero crimine di guerra, ma la colpa morale di quello che era successo ricadeva sul codardo Re “Canapone”, che riprese di nuovo il trono ma solo per poco tempo, perche’ questo ultimo atto fini’ con l’inimicarsi tutta la popolazione.
Ritorno’ sbarcando a Viareggio con indosso una divisa da generale austriaco, anche perche’ era ormai diventato solo un burattino in mano del governo austriaco.
Naturalmente una delle prime cose che fece dopo il suo ritorno fu abolire l’uso del tricolore.
I tempi erano pero’ maturi perche’ la Toscana si liberasse per sempre dal giogo austriaco.
Nel 1859 una rivolta popolare, con anche questa volta tra loro molti livornesi memori di quello che aveva fatto, lo obbligo’ a scappare di nascosto verso Bologna e poi in Austria, mentre i suoi stessi soldati si arrendevano al popolo inferocito.
Mori’ il 28 gennaio 1870 quasi da solo, durante un viaggio a Roma.
Neanche i suoi resti furono reclamati da nessuno e oggi riposano in Austria, a Vienna dove vi furono traslati nel 1914.